bandiera italiana sul balcone

Cannabis Italia: quello che bisogna sapere

Il consumo di cannabis è un tema molto discusso, che patisce parecchi problemi, sia in ambito politico, che in ambito culturale che naturalmente in ambito legislativo. C’è chi sostiene da anni battaglie a favore della cannabis sativa.

A volte sembra però che nonostante le evidenze scientifiche sulla cannabis terapeutica, nonostante siano circa sei milioni i consumatori di cannabis e nonostante la legalizzazione della marijuana light, ci sia ancora una forte resistenza al pensiero di legalizzare la cannabis e depenalizzarla.

Come mai e a che punto siamo davvero in Italia? In questo articolo proveremo a fare chiarezza. Ecco che cosa vedremo:

  • La cannabis in Italia nel 2021
  • Cosa dice la legge
  • Si può vendere la cannabis in Italia?
  • Si può coltivare la cannabis in Italia?
  • Si può coltivare marijuana in casa?
  • Posso aprire un cannabis social club in Italia?

cannabis light

La cannabis in Italia nel 2021

In Italia il fatturato proveniente dal consumo di cannabis rilevato dagli studi ISTAT e dai dati ottenuti dalle relazioni della DDA (Direzione Distrettuale Antimafia) che stima la quantità di cannabis che gira nel paese in base ai sequestri, si aggirerebbe intorno agli 11,6 miliardi di euro.

E si parla solo di quella sequestrata, che sempre secondo la DDA è circa il 20% di quella realmente sul mercato.

Sono circa sei milioni i consumatori di cannabis sativa italiani, tra chi ne fa uso a scopo ricreativo, chi è in cura con trattamenti a base di cannabis terapeutica e chi consuma marijuana light.

Di questi sei milioni, la maggior parte fa uso sia di cannabis legale, quindi con un contenuto di THC inferiore allo 0,2% che di cannabis "normale", che è al momento reperibile solo presso il mercato nero.

Un terzo degli studenti delle scuole superiori l’ha già usata. Il 58% degli arresti per droga riguardano proprio la cannabis.

Si tratta di un fenomeno di massa e come ha più volte affermato il senatore Matteo Mantero, continuare ad accanirsi contro la legalizzazione della cannabis, che sia per ideologia o per poca lungimiranza, non fa che arricchire i portafogli della mafia, che di fatto ne controllano il mercato.

Legalizzare la cannabis in Italia significherebbe, in base all’aliquota, spiazzare il mercato illegale e riempire le proprie casse, risanando anche il debito pubblico.

Eppure, non sembra esserci ancora una vera e propria forza sociale che spinge verso la legalizzazione delle cosiddette “droghe leggere”.

Il punto è capire che la cannabis sativa è una risorsa non solo per i consumatori e non solo per i pazienti in cura con la cannabis terapeutica. La cannabis sativa è una risorsa economica per tutti e per comprendere meglio di cosa stiamo parlando basta analizzare la situazione degli Stati Uniti, che in modo razionale, ha saputo fare un bilancio tra costi e benefici, tra vantaggi e svantaggi e ha scelto di legalizzare la cannabis sativa.

Dal 2014 infatti, ben 15 stati degli Stati Uniti hanno deciso di legalizzare la cannabis sia ad uso ricreativo che ad uso medico, in 36 stati invece è possibile solo l’utilizzo della cannabis terapeutica.

Al momento, oltre cento milioni di abitanti statunitensi usano cannabis liberamente. I dati raccolti in questi anni sono strabilianti: sono diminuiti tantissimo gli arresti e soprattutto gli arresti di adolescenti per detenzione e spaccio di droghe leggere.

Nel 2019, il guadagno complessivo proveniente dalla coltivazione di cannabis e dalla relativa vendita delle infiorescenze è stato di circa 14 miliardi di dollari con un aumento di circa 3 miliardi nel 2020. Inoltre, più di 340.000 lavoratori sono stati impiegati nella filiera della cannabis sativa e aumentati di circa 82.000 in un solo anno.

Si parla di una tendenza in crescita esponenziale.

Oltre all’analisi degli economisti, che spingerebbe verso la legalizzazione della cannabis per ragioni economiche, anche La DDA nelle sue relazioni dice la sua.  La Direzione Antimafia afferma chiaramente che la politica proibizionista italiana ha speso tantissime risorse per ottenere risultati poco soddisfacenti e di fatto ha fallito.

La DDA si dichiara a favore della legalizzazione delle droghe leggere, ritenendo più opportuno concentrare le proprie risorse nella lotta contro gli stupefacenti pesanti e contro altri tipi di reato. Suggerisce inoltre che le politiche di prevenzione e formazione sugli stupefacenti proseguano e vengano e potenziate, proprio grazie a parte dei proventi ottenuti dalla legalizzazione della cannabis e dalla sua vendita.

Anche in questo caso gli Stati Uniti fanno da modello. Molti dei guadagni ricavati dalla coltivazione di cannabis in Colorado, ad esempio, sono stati investiti in programmi di prevenzione per sensibilizzare al tema della guida sicura o nella lotta contro le droghe pesanti.

Probabilmente è questa l’unica direzione tramite la quale possono essere realmente contenuti gli effetti del mercato illegale e salvaguardata la salute pubblica.

A livello politico si è tornati a parlare proprio di recente del grande dilemma: legalizzare la cannabis o non legalizzarla

Da oltre 20 anni il senatore Benedetto della Vedova, sta provando a portare avanti il problema. Negli ultimi anni della Vedova è riuscito a creare un intergruppo parlamentare trasversale, costituito su base volontaria da parlamentari anche appartenenti a fazioni politiche diverse, allo scopo di occuparsi di legalizzazione e depenalizzazione della cannabis.

Come Benedetto della Vedova fa notare non si tratta più di decidere se legalizzare la cannabis oppure no. Il punto è capire che è arrivato il momento di regolamentare un mercato già libero.

L’intergruppo, di cui anche Matteo Mantero fa parte, ha ben presente l’esperienza degli Stati Uniti e anche quella spagnolo, il parere della Direzione Antimafia e l’analisi dei dati rilevati in Italia sul consumo di cannabis. È proprio sulla base di questi elementi che l’intergruppo propone una possibilità per regolamentare e legalizzare la cannabis in Italia, provando davvero ad occuparsi di salute pubblica.

Il testo della proposta, che vedremo meglio nel dettaglio nei paragrafi successivi, si propone di legalizzare la cannabis, permettendone il possesso e la coltivazione ad uso personale presso il proprio domicilio o con altre persone all’interno di un’associazione costituita. L’idea è ispirata ai Cannabis social Club già presenti in Spagna e negli Stati Uniti, all’interno dei quali, previo tesseramento, è possibile coltivare e fumare cannabis sativa.

Per Matteo Montero e Benedetto della Vedova, questo modello sembra avvicinarsi alle esigenze italiane più che il modello olandese del coffee shop in cui può essere meno semplice controllare la quantità di sostanza acquistata da ogni singolo consumatore.

La proposta di legge, tuttavia, è solo uno dei primi passi verso la legalizzazione della cannabis. Un traguardo che per l’Italia non sembra essere ancora troppo vicino.

fiore di cannabis

Cosa dice la legge

È lungo e complesso il processo legislativo che ha riguardato la cannabis sativa. Proveremo a fare un quadro semplice e chiaro della situazione attuale basandoci delle fonti preziose (oltre all’articolo, è stata illuminante la conferenza presente sempre nel link, tenuta da Meglio Legale, da un ricercatore dell’Università di Messina, due avvocati penalisti e due economisti) che affrontano il tema dal punto di vista legale.

Dopo la dichiarazione di incostituzionalità della legge Fini Giovanardi del 2006, che aboliva la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, è tornata in vigore la legge del 1990, modificata ulteriormente nel 2014.

È tornata ovviamente la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, la cannabis sativa di origine naturale è tra le prime, quella di origine sintetica nelle seconde (a stabilire la natura naturale o sintetica della cannabis è il contenuto di THC).

È stato però reintrodotto il criterio della dose massima detenibile al di sotto della quale si rientra in un illecito amministrativo e non un reato penale.

Parliamo nello specifico della distinzione tra l’articolo 73 (Detenzione ai fini di spaccio) che costituisce un reato penale punibile con pena detentiva e multa e l’articolo 75 (Detenzione ad uso personale), che costituisce solo un illecito amministrativo.

Purtroppo, dire “solo” un illecito amministrativo può essere fuorviante perché l’illecito può comportare dei fastidi non indifferenti, che ledono, anche se in misura minore, la libertà individuale. Le conseguenze possono essere l’immediato sequestro della sostanza, la segnalazione per un consulto psicologico, il ritiro della patente o il ritiro del passaporto.

La dose massima detenibile sarebbe di 5 grammi, con una tolleranza di una moltiplicazione per 10, quindi un limite massimo di 50 grammi.

Tuttavia, la dose massima viene individuata e stabilita attraverso alcuni criteri indiziari, tra i quali la quantità reale o il quantitativo di THC non sono gli unici criteri.

Le procure utilizzano criteri precisi per determinare se si tratta di uso personale oppure di spaccio, quindi se si tratterà di una sanzione amministrativa o di un reato pensale.

Vediamo quali possono essere alcuni tra i principali criteri indiziari:

  • la presenza di bilancini
  • la ripartizione della sostanza in piccole dosi
  • precedenti penali
  • il reddito. Se si ha un’entrata fissa si può dimostrare che quella quantità è stata acquistata per uso personale. In assenza di reddito sarà più facile pensare che si sia in possesso di cannabis sativa per spacciarla.
  • la presenza o meno di debiti comprovati.

Nell’aspettare una riforma e una regolamentazione sul consumo di cannabis non si può che fare affidamento sulla magistratura, che di caso in caso, dovrebbe fare luce e giustizia e saper distinguere senza troppa difficoltà tra spaccio e uso personale della sostanza, anche in presenza di quantità maggiori di quelle consentite.

Si può vendere la cannabis in Italia?

In Italia è possibile vendere canapa light a scopo industriale purché la percentuale di THC sia a norma.

È possibile vendere marijuana light a patto che ci sia un contenuto di THC inferiore allo 0,2% e sono tantissimi i controlli che vengono effettuati ogni anno per controllare che i parametri siano effettivamente rispettati.

Quando nel 2016 è nata la legge 242 allo scopo di valorizzare la canapa light, è sbocciato automaticamente anche il mercato della cannabis light perché qualcuno ha deciso di provare a vendere anche le infiorescenze della pianta di canapa legale.

Nonostante CBD (cannabidiolo) e CBG (cannabigerolo), i due principi attivi alla base della cannabis legale, siano totalmente privi di effetti psicotropi, alcune sentenze in Parlamento hanno ritenuto che vendere infiorescenze fosse un illecito. Le sezioni unite si sono trovate d’accordo con le sentenze e si sono schierate contro la cannabis legale. Questo è il motivo dei controlli a tappeto mirati a verificare il contenuto di THC e gli eventuali effetti psicotropi delle infiorescenze.

Per quanto riguarda la cannabis sativa classica invece, quindi con un contenuto di THC superiore allo 0,6% e oltre, non è possibile venderla dato che non sarebbe possibile neanche consumarla.

Vendere cannabis significa infrangere l’articolo 73 (Detenzione ai fini di spaccio) che è punibile con detenzione dai 6 ai 20 anni oltre che con salatissime multe in denaro.

Tutto il mercato della cannabis in Italia è in mano alle mafie e alla criminalità.

Questa è la conseguenza più grave della scelta proibizionista, che alla base delle sue scelte, rivendica la tutela della sicurezza pubblica, dell’ordine pubblico e della salute pubblica.

Tutti e tre questi bene ma soprattutto il terzo, vengono seriamente compromessi nel momento in cui al mercato nero è lasciato libero arbitrio. Se si parla di salvaguardare la salute pubblica e quindi quella dei singoli cittadini, infatti, non possono non essere prese in considerazione le sostanze nocive contenute nell’erba o nel fumo venduto senza controllo per strada e non può essere lasciata carta bianca alla criminalità.

Spesso, inoltre, l’ideologia paternalista si basa sulla teoria che la cannabis sativa è il primo step per passare ad altre droghe. È stato ampiamente dimostrato che si tratta di una teoria fallimentare, che può però diventare reale in alcuni casi, dal momento che è proprio il mercato nero a decidere consapevolmente di ritirare la cannabis per orientare il consumatore, magari giovane e disinformato, verso altri tipi di droghe dalle quali potrebbe fare difficilmente ritorno.

Anche di questo bisognerebbe tenere conto nel fare un bilancio tra pro e contro e vantaggi e svantaggi nel legalizzare la cannabis o meno.

Quel che è certo è che fino a quando venderla sarà illegale, qualcuno la venderà e qualcuno la acquisterà comunque.

Sempre parlando di salute pubblica poi, esistono altre situazioni nocive in cui la legislazione non si pronuncia, pensiamo all’alcool e al tabacco. Questo nonostante la cannabis sativa non abbia una pericolosità in sé, ma sia la sua associazione con la nicotina o ancora una volta l’uso eccessivo e quindi l’abuso o ancora l’assunzione precoce in preadolescenza a renderla potenzialmente dannosa.

C’è da chiedersi quindi (e in molti in politica lo stanno facendo) se l’intervento del diritto penale o di quello amministrativo siano davvero così necessari ma soprattutto se siano davvero leciti o se invece non minino, in modo incoerente e poco lungimirante la libertà individuale e il potenziale di una sostanza dalle mille risorse.

cannabis lightSi può coltivare la cannabis in Italia?

Nel 2016, con la legge 242, si è deciso di valorizzare finalmente la canapa legale a scopo agro-industriale. Da quel momento e per la prima volta, è possibile coltivare la cannabis sativa, con un contenuto di THC inferiore allo 0,6%, senza alcuna autorizzazione ma solo con determinate regole da osservare da parte dei coltivatori.

Le regole sono poche e semplici, nello specifico:

  • per tutta la crescita della pianta va mantenuto un contenuto di THC inferiore allo 0,6%
  • è necessario acquistare semi certificati e mantenere il cartellino delle sementi per un periodo di 12 mesi

Per quanto riguarda invece piante con un contenuto di THC superiore allo 0,6% e oltre, iniziano i problemi. Se in Italia la legislazione è sempre stata fortemente repressiva per detenzione, acquisto e importazione, lo è stata ancora più drasticamente per la coltivazione della cannabis, quasi sempre punita duramente con diversi anni di detenzione.

A Dicembre 2019 le Sezioni Unite della Cassazione, hanno sostenuto come viene ben riportato da questo articolo, che la coltivazione della cannabis costituisce un reato a prescindere dalla percentuale di principio attivo rilevabile sul momento, essendo sufficiente la presenza della pianta stessa, data la sua attitudine a produrre infiorescenze dagli effetti psicotropi.

La stessa sentenza della Cassazione precisa però che non possono essere riconducibili a reato penale, attività di coltivazione della cannabis rudimentali, domestiche e di piccole dimensioni, il cui prodotto non supera le quantità previste per l’uso personale. La quantità massima consentita è variabile e ancora una volta non chiaramente regolamentata, si parla comunque di non più di due o tre piantine.

Tuttavia, al momento è solo una sentenza della Cassazione e non una legge e il fatto che non sia un reato penale non vuol dire che non possa costituire un illecito amministrativo e compromettere ugualmente alcune delle libertà individuali come, per esempio, il ritiro della patente, del passaporto o addirittura l’obbligo di presentarsi a colloquio psicologico per consulti di cui non si sente alcun bisogno.

La coltivazione della cannabis non è consentita autonomamente e privatamente neanche per chi è in cura con la cannabis terapeutica. Anche la cannabis ad uso medico inspiegabilmente, trova ancora difficoltà e resistenza nonostante sia sul mercato dal 2006.

Oggi l’Istituto Nazionale di Firenze può coltivarla liberamente certo, ma non riesce a garantire l’intero fabbisogno per il paese. Nonostante questo, chiunque provi a coltivarla per conto proprio, viene ostacolato duramente.

La cannabis terapeutica, inoltre, può essere utilizzata solo se i farmaci classici non vengono tollerati o non hanno successo, rallentando così la potenziale guarigione del paziente. Infine, non è presente nell’elenco del Servizio Sanitario Nazionale, quindi arbitrariamente alcune regioni decidono di adottarla e altre si rifiutano. A volte addirittura nelle stesse regioni ci possono essere province favorevoli e province contrarie.

È facile capire che se neanche per la cannabis terapeutica si riesce ad avere una posizione lineare ed omogenea, la strada per la legalizzazione è ancora lunga e difficile, ma non impossibile.

 

fiore di cannabis

 

Si può coltivare marijuana in casa?

Nel caso foste interessati alla coltivazione della cannabis light, non avrete problemi. Come abbiamo visto infatti, è possibile coltivare canapa legale, anche a casa propria. Le uniche regole da rispettare sono scegliere semi certificati e mantenere un contenuto di THC inferiore allo 0,2%.

Per quanto riguarda la coltivazione della cannabis ad alto contenuto di THC invece, non c’è ancora una legge che la renda possibile.

Esiste la sentenza della Cassazione del dicembre 2019 che, come abbiamo visto, tiene conto della quantità del prodotto finale. La sentenza dice chiaramente che, se non si è in presenza di altri criteri indiziari (bilancini, ripartizione in dosi, etc.) una coltivazione della cannabis in piccole quantità (2, 3 piante) non costituisce reato penale, ma potrebbe costituire illecito amministrativo.

Non essendoci però una legge precisa al riguardo, ogni caso va analizzato in base alle sue peculiarità e in definitiva è la magistratura a decidere e rimettere ordine tra i buchi e le distorsioni legislative.

Prendiamo per esempio il caso di due imputati processati a Messina con l’accusa di essere in possesso di 1700 gr di cannabis sativa tra piante, infiorescenze e hashish e quindi per aver violato l’articolo 73 (Detenzione ai fini di spaccio).

Dopo l’analisi delle infiorescenze, la posizione è stata rivalutata in appello. Metà delle infiorescenze risultavano essere di marijuana light, quindi non erano più oggetto né di reato né di illecito. L’altra parte, seppur consistente per essere considerata d’uso personale, che ricordiamo essere di 5 gr con una tolleranza fino a 10 volte il limite massimo consentito per uso personale (50 Gr), era da dividere in due. In casa c’erano bilancini. Entrambi non avevano precedenti e potevano dimostrare un reddito medio annuo.

Il tutto è finito con sei mesi di domiciliari e il ritiro della patente.

Altro caso a Roma. Un ragazzo di 19 anni viene fermato con più di 5 grammi d’erba mentre guida il motorino. La polizia lo segue a casa e trova 8 piantine di cannabis sativa più circa 300 grammi d’erba. Il ragazzo viene portato in questura e il caso viene preso in carico dall’avvocato di famiglia, il quale riesce a dimostrare che il ragazzo non aveva alcun bisogno di spacciare per vivere, avendo un reddito famigliare molto alto e che la cannabis serviva a uso personale.

In casa non c’erano bilance né tracce di porzionamenti, inoltre e questo è stato l’elemento che ha fatto la differenza, le piante non erano ancora mature e il contenuto di THC rilevabile era davvero modesto.

In seguito ad un forte stress psicologico il ragazzo aveva tratto giovamento nell’assumere cannabis sativa e invece che comprarla per strada, preferiva coltivarla per conto proprio.

Il caso si è risolto con un mese di domiciliari e il sequestro delle sostanze.

Ovviamente non si può essere sempre così fortunati. Fino a quando non ci sarà una legge chiara a regolamentare la coltivazione della cannabis per uso personale, è meglio non rischiare. 

Nella proposta dell’intergruppo parlamentare per legalizzare la cannabis e depenalizzarla, è prevista la possibilità di coltivare fino a tre piante per uso personale, con la possibilità di detenere fino a 15 grammi di sostanza nel proprio domicilio e 5 grammi fuori, purché sia destinata ad uso personale.

La proposta dell’intergruppo prevede anche di regolamentare meglio il mercato della cannabis legale a favore dei coltivatori e di chi ha investito in questo nuovo business, consentendo la vendita per uso alimentare e innalzando il contenuto di THC delle infiorescenze fino all’1%.

marijuana legale

Alla base della proposta di riforma, c’è ancora una volta l’analisi dei dati, per esempio delle detenzioni in carcere.

Circa 21.213 detenuti sono in carcere per coltivazione di cannabis (anche in modeste quantità) o per possesso di droghe leggere a fronte di circa 3000 detenuti che sono in carcere per stupro (ma liberi sono molti di più), un reato che a quanto pare la legislazione non riesce a tenere sotto controllo come dovrebbe.

È una fortuna che senatori come Benedetto della Vedova e Matteo Mantero abbiano costruito un intergruppo in Parlamento e continuino a battersi per la causa di anno in anno. Spesso purtroppo quando in politica si parla di tematiche scottanti come legalizzare la cannabis, il diritto penale subisce strumentalizzazioni da parte delle classi politiche.

Quindi magari per attrarre un certo elettorato sensibile a certe tematiche, si improvvisano dei pacchetti sicurezza lampo che oltre a mettere in crisi il lavoro di chi per anni ha creduto di poter gettare le basi per una riforma sulla cannabis sativa, non offrono soluzioni reali e anzi finiscono per provocare conseguenze evitabili.

Per esempio, una distribuzione sbagliata delle risorse di controllo e sicurezza, come sottolinea la DDA o un sovraffollamento delle carceri, popolate da piccoli e inoffensivi criminali invece che da pezzi grossi da fare fuori dal mercato per sempre.

Possiamo sperare che il lavoro dell’intergruppo alla lunga trovi una strada per legalizzare la coltivazione della cannabis, anche in casa. In attesa di una legge chiara e favorevole, meglio fare pratica con la marijuana light, che essendo priva di effetti psicotropi, non sarà mai oggetto di reato.

Vi consigliamo di coltivare le vostre piante senza l’utilizzo di additivi chimici, proprio come noi facciamo con le nostre infiorescenze. Se siete alla ricerca di canapa light completamente organica, potrete trovarne diverse varietà sul nostro sito web. 

Posso aprire un cannabis social club in Italia?

 In questo momento esistono pochissimi cannabis social club, probabilmente solo due, uno a Bolzano e uno a Milano. Sono stati creati entrambi solo ed esclusivamente per l’utilizzo di cannabis terapeutica.

È quindi possibile accederci e fare uso di cannabis sativa solo dietro prescrizione medica e come sappiamo nonostante la cannabis terapeutica possa essere efficace per numerose patologie, al momento può essere prescritta solo per pochissime di queste.

Se invece ci riferiamo a un cannabis social club dedicato al consumo di cannabis ad uso ricreativo come quelli che esistono in Spagna e negli Stati Uniti, non è ancora possibile.

Tuttavia, il testo della proposta di depenalizzazione dell’intergruppo per legalizzare la cannabis prevede anche la possibilità di coltivazione della cannabis in forma associata, quindi in un cannabis social club di massimo 30 soci.

L’associazione, una volta costituita, avrebbe l’obbligo di comunicare l’attività di coltivazione della cannabis alla prefettura e ciascun socio potrebbe coltivare fino a tre piante e detenere a casa propria fino a 15 grammi di cannabis e fino a 5 grammi in giro.   

Matteo Mantero è particolarmente favorevole all’esperienza del Cannabis Club, perché accessibile solo ai propri membri tesserati e perché offre la possibilità di vigilare sulle quantità di cannabis sativa utilizzate da ciascun membro.

Questa riforma parte dall’idea di salvaguardare realmente la salute pubblica, mettendo da parte ogni ideologia paternalista e facendo i conti con la realtà.

Permettendo la coltivazione della cannabis direttamente ai coltivatori sotto un controllo statale, si eviterebbe qualsiasi rischio di sostanze nocive aggiunte alla sostanza, oltre al fatto che si verrebbe a creare un luogo di aggregazione e socializzazione in un’area verde, pratica già in uso in molte città, ad esempio con l’attività degli orti urbani.

Nel presentare la propria proposta, l’intergruppo fa presente che nella storia, scientifica e no, non è mai stata registrata alcuna morte per l’uso di cannabis e l’erba non fa male come invece fanno tabacco e alcool, sui quali non vi è alcun intervento repressivo.

Inoltre, più del 70% degli italiani è favorevole a legalizzare la cannabis come già è stato fatto in molti paesi, la cui esperienza è stata significativa e decisamente positiva. La loro esperienza dimostra che il numero di consumatori di cannabis sativa non cresce dopo la legalizzazione ma anzi porta a un lieve calo. In effetti, più del 50% degli olandesi dichiara di non essere interessata al consumo di cannabis.

Negli Stati Uniti il numero di consumatori ad uso ricreativo è rimasto invariato mentre sono calati i consumatori di droghe più pesanti, soprattutto tra i più giovani.

L’intergruppo parlamentare prova a rassicurare ulteriormente chi si schiera contro, ponendo di nuovo ad esempio, il modo in cui la legislazione tratta l’alcool.

Viene venduto liberamente lasciando alla responsabilità individuale la scelta di non abusarne e per quello che riguarda il potenziale verificarsi dei cosiddetti effetti criminogeni indiretti, come per esempio mettersi alla guida in stato di ebbrezza e provocare un incidente, vengono ovviamente regolati da materia penale come è giusto che sia.

Allo stesso modo si dovrebbe fare con la cannabis sativa, lasciando ai consumatori la possibilità di responsabilizzarsi.

Se l'articolo è stato di tuo interesse condividilo sui social con il resto della Community, ogni singolo share ci aiuta a sostenere il nostro Blog e a tenervi  informati a 360° sul mondo della Cannabis.

Potrebbe interessarti anche:

  1. Legalizzazione marijuana: cosa succederebbe in Italia?
  2. Stati europei in cui la cannabis è legale
  3. CBD: cos'è e per cosa si utilizza

Lascia un commento

Tieni presente che i commenti devono essere approvati prima di essere pubblicati.

Questo sito è protetto da reCAPTCHA e applica le Norme sulla privacy e i Termini di servizio di Google.