Cannabis light: che cos'è?
In questa guida vi racconteremo tutto sulla cannabis light: le differenze sostanziali tra le varietà di cannabis, come si coltiva, gli utilizzi e le proprietà terapeutiche del Cbd. Uno dei principali composti della pianta di cannabis. Affronteremo questi argomenti:
Sommario:
- Che cos'è la cannabis light?
- Thc Vs Cbd
- Cos'è il Thc?
- Cos'è il Cbd?
- Differenza tra Cannabis indica, sativa e ruderalis
- La cannabis sativa
- La cannabis indica
- La cannabis ruderalis
- Il processo produttivo per coltivare la cannabis light
- Fase fioritura
- Tecniche di coltivazione
- Essiccazione e concia
- Problemi
- Come interagisce la cannabis col nostro corpo
- Sistema endocannabinoide
- I cannabinoidi endogeni (endocannabinoidi)
- Come funziona il sistema endocannabinoide?
- I cannabinoidi esogeni
- Le proprietà terapeutiche del Cbd
- Altre proprietà terapeutiche
Che cos'è la cannabis light?
La cannabis light è una varietà di cannabis sativa che contiene gli stessi principi attivi della marijuana tradizionale ma in percentuali diverse. Le piante di canapa provengono da varietà di Cannabis Sativa L. appositamente ibridate per utilizzi industriali e agricoli.
Questo processo protratto nel tempo ha trasformato la Cannabis in una pianta molto diversa.
L’elemento oggetto del cambiamento è il tetraidrocannabinolo, il principio attivo meglio conosciuto come THC. Si tratta di uno degli oltre sessanta cannabinoidi biologicamente attivi contenuti nella Cannabis.
Nella cannabis light, la presenza di Thc è molto bassa, quasi nulla, di solito varia tra 0,2 a 0,6%.
La cannabis light è famosa soprattutto per un altro cannabinoide presente, il Cbd o Cannabidiolo, una molecola che non ha effetti psicotropi ma è dotata di molte proprietà benefiche.
Cbd Vs Thc
THC e CBD sono due sigle molto conosciute e spesso associate fra loro: per esempio sappiamo che quando si parla di THC e CBD si parla sempre e comunque di cannabis.
Ma mentre sono abbastanza diffuse le conoscenze di fondo in merito al THC, le idee sono meno chiare quando si parla di CBD; eppure i consumatori di THC hanno assunto anche CBD, anche se forse a loro insaputa!
Vediamo dunque di fare un po’ di chiarezza sulle analogie e differenze fra queste molecole.
Cos'è Il Thc?
THC è la formula chimica del Delta-9-tetraidrocannabinolo, e CBD sta invece per cannabidiolo.
Come suggerisce l’omofonia, i due sono parenti stretti perché entrambi sono fitocannabinoidi. Ovvero due fra i numerosi composti chimici presenti nelle varie specie del genere cannabis.
A titolo di esempio basti pensare che nella sola cannabis sativa si contano circa una settantina di composti chimici attivi.
Il THC è certamente il più noto fra i principi attivi della cannabis: è una sostanza psicotropa, ovvero in grado di modificare lo stato psico-fisico di un soggetto (percezione, umore, stato di coscienza, comportamento ecc.).
E’, in parole povere, il responsabile del cosiddetto “high”, l’insieme dei ben noti effetti della marijuana sul consumatore: euforia, rilassamento, appesantimento, appetito eccetera.
L’effetto è dovuto al fatto che quando il THC entra in circolo, si lega ai recettori delle cellule nervose; nel momento in cui avviene questa interazione tra THC e cervello viene rilasciata dopamina.
Gli effetti del THC possono durare più di due ore e vengono percepiti dopo circa 10-30 minuti dall'assunzione.
Tutto comunque dipende dalle concentrazioni di THC presenti nella pianta, anzi: sono proprio queste concentrazioni a fare da spartiacque fra specie di cannabis bandite e altre la cui coltivazione è permessa.
Infatti è proprio a causa di questa alterazione dello stato di coscienza che il THC è di fatto illegale nella maggior parte dei Paesi del mondo.
Allo stesso tempo, tuttavia, le ricerche sul THC hanno portato alla luce alcune sue interessanti proprietà che fanno pensare a possibili applicazioni terapeutiche. Queste ricerche hanno spinto alcuni Paesi a eliminarlo dalla lista dei farmaci proibiti: è il caso di alcuni Stati degli USA, del Canada, e di alcuni Paesi europei.
Che hanno avviato una sperimentazione tesa all’inserimento della cannabis fra i rimedi medici disponibili sotto prescrizione.
E’ stato infatti dimostrato che il THC può agire efficacemente contro malattie croniche e disturbi di varia natura (fra cui asma e glaucoma).
Stimolando l’appetito, offrendo sollievo e riducendo i dolori nei casi in cui i farmaci convenzionali non possono essere utilizzati per i loro effetti collaterali dannosi.
Cos'è Il Cbd?
E ora prendiamo in analisi il CBD: la sua principale differenza dal THC) è che il CBD non è un composto psicoattivo: non altera i sensi o lo stato di coscienza in misura sostanziale.
Questo suo aspetto lo ha reso particolarmente interessante per la comunità scientifica, e per lo stesso motivo non è soggetto ad alcuna restrizione legale: nessun Paese vieta il consumo di CBD (con l’eccezione del Regno Unito, dove il CBD rientra tra le droghe schedule-1 e quindi, tecnicamente, illegale), e attualmente lo si trova in commercio in moltissime forme: olio, cristalli ecc...
Il CBD è in grado di interagire con le cellule ricettrici, aumentando la risposta del sistema nervoso umano. Si tratta, inoltre, di un efficace inibitore naturale. Queste virtù ne fanno un ottimo alleato nel trattamento di varie forme di schizofrenia, disturbo d’ansia sociale e depressione.
Sul piano prettamente fisiologico, invece, si è dimostrato efficace contro emicranie, spasmi muscolari, infiammazioni e artriti.
Un suo punto di forza dal punto di vista dell’impiego medico è la possibilità della sua somministrazione senza andare incontro agli effetti collaterali inevitabilmente indotti (e non necessariamente desiderati) dal THC: alterazione dei sensi, sensazione di appesantimento, letargia.
E’ proprio su queste basi che la comunità scientifica spinge per terminare la ricerca di tutte le sue caratteristiche: passo necessario per poterlo definitivamente ascrivere alla categoria dei farmaci.
Il CBD influisce anche sugli effetti del THC potenziandone l'efficacia analgesica e prolungandone la durata di azione, e al tempo stesso ne riduce gli effetti collaterali su frequenza cardiaca, respirazione e temperatura corporea.
Non è un caso che alcuni fra coloro che utilizzano marijuana o derivati a scopo ricreativo ne accompagnano l’assunzione a piccole dosi di CBD per “ammorbidirne” l’effetto e attenuarne i picchi indesiderati.
Insomma, con un po’ di disinvoltura si potrebbe dire che il CBD è il “fratello assennato” del THC, e se per alcuni aspetti sono simili, per altri aspetti sono quasi agli antipodi: il THC può infatti occasionalmente indurre stati di ansia o paranoia (soprattutto su assuntori sporadici), mentre come detto il CBD è un anti psicotico.
A seguito di una somministrazione sperimentale di THC e CBD alternativamente su cento trentaquattro soggetti per verificarne gli effetti psicotomimetici, nessuno dei volontari ha lamentato sintomi associabili ad ansia o paranoia mentre si trovava sotto l’effetto del CBD.
Un’altra differenza radicale è che mentre uno dei principali motivi per cui molte persone fanno uso di marijuana è la sua proprietà soporifera. Il CBD invece ha un effetto più leggero, attenuato e in certi casi può ridurre anche gli effetti dell’insonnia.
Sono le varietà con alte concentrazioni di THC a provocare sonnolenza a chi le assume, caratteristica meno pronunciata in quelle varietà con livelli bassi di THC o alti di CBD.
Proprio le loro differenze hanno indotto e stanno inducendo molti coltivatori a selezionare piante di Cannabis con percentuali di CBD elevate e basso contenuto di THC.
Differenza tra Cannabis sativa, indica e ruderalis
Tutti i tipi di Cannabis fanno parte della famiglia delle cannabacee, ma differiscono tra loro in maniera radicale per aspetto, necessità, dimensioni e resa di raccolto.
La sua classificazione è tutt’altro che banale: ancora oggi gli scienziati sono divisi in varie correnti di pensiero, espressione di scuole diverse, che tendono a classificare la pianta di marijuana in modo opposto.
Il primo scienziato che si avventurò nella classificazione delle diverse varietà di Cannabis fu Carl Linnaeus, botanico, medico e zoologo svedese, che – a metà del Settecento - creò il sistema di classificazione che usiamo ancora oggi.
La maggior parte degli esperti è ancora alla ricerca di un modo universale per classificare le diverse specie di cannabis.
Secondo alcune interpretazioni, tutte le varietà esistenti sono sottospecie di Cannabis Sativa, la più famosa e utilizzata in assoluto; secondo altri, invece, è possibile suddividere la grande famiglia della Cannabis in tre gruppi: Cannabis Indica, Cannabis Sativa e Cannabis Ruderalis.
La Cannabis Sativa
La Cannabis sativa è la varietà di Cannabis più diffusa, caratterizzata da una crescita considerevole e da effetti prevalentemente cerebrali.
La Cannabis sativa è originaria dei Paesi equatoriali, quelli che si trovano nella fascia compresa tra 30° a nord e a sud dell'equatore, come Thailandia e Indonesia, dove le ore di luce restano costanti per quasi tutto l'anno.
Sono piante molto resistenti perché abituate a lottare per la luce, a causa della vegetazione molto fitta che caratterizza le loro zone d'origine.
Dover lottare quotidianamente per farsi raggiungere dai raggi del sole ha portato le specie Sativa ad evolvere per svilupparsi maggiormente in altezza, raggiungendo dimensioni che – nella maggior parte dei casi – sono molto significative. Gli esemplari appartenenti a questa specie sono soliti diventare piuttosto grandi e slanciati.
Delle tre varietà, infatti, la Sativa è quella che raggiunge altezze più elevate: in caso di esemplari geneticamente puri, la pianta può anche superare i 5 metri d'altezza.
In linea generale, comunque, la pianta tende a non superare i 2-4 metri d'altezza, se coltivata in condizioni ambientali ottimali.
La natura della pianta si traduce in raccolti estremamente abbondanti che, però, richiedono tempi di fioritura piuttosto lunghi, anche fino a 16 settimane.
Le foglie di Sativa sono diventate il simbolo della marijuana per antonomasia, sono molto più affusolate e sottili di quelle delle altre specie e assomigliano a lunghe dita.
La Cannabis Indica
La Cannabis Indica ha un aspetto molto diverso da quello della sua sorella Sativa: si presenta come una pianta molto compatta e cespugliosa, ed è caratterizzata da una crescita moderata in altezza.
Le varietà pure al 100% mostrano una struttura cespugliosa, molto simile a quella di un albero di Natale. Sono piante perfette per chi non dispone di molto spazio o ha bisogno di non dare nell'occhio.
L'Indica è una specie di Cannabis originaria dei Paesi più aridi del pianeta, come Libano, Afghanistan e India, da cui prende il nome.
Fino al 1785 in Europa non si sapeva nulla della varietà Indica; la pianta approdò nel mondo occidentale grazie al botanico Jean-Baptiste De Lamark, che riportò di avere scoperto una di queste piante durante un viaggio nelle Indie.
Le varietà indica sono davvero perfette per chi ha bisogno di raccogliere in fretta: oltre a non dare nell'occhio per l'altezza moderata – che non supera mai i 1,2-1,5 metri – vantano anche un periodo di fioritura molto veloce, che di solito non supera le 8 settimane.
Quando una genetica Indica raggiunge la sua altezza ottimale, smette di crescere in verticale e concentra le proprie energie per svilupparsi in larghezza, per produrre cime più compatte ed aromatiche.
Quando la pianta smette di crescere vuol dire che dispone delle energie sufficienti per iniziare a produrre fiori, stimolata dalla variazione del fotoperiodo; quando le ore di luce solare diminuiscono, infatti, viene innescata la fase di fioritura.
La forma delle piante di Indica, come anche quella delle foglie, è dovuta alle zone geografiche di cui è originaria, dove la pianta è sottoposta a continue oscillazioni delle ore di luce durante tutto l'anno. Le foglie di Indica sono molto tozze e corte, dalla forma a ventaglio, che gli permette di sfruttare appieno tutta la luce di cui dispongono.
La Cannabis Ruderalis
Probabilmente è la più antica tra le varietà di Cannabis, ma la varietà Ruderalis si è affacciata sul mercato da pochi anni. Non è una pianta adatta alla coltivazione massiva, dal momento che produce raccolti di scarsa entità anche a causa delle sue piccole dimensioni.
È diventata interessante per il moderno mercato della cannabis grazie ad alcune sue caratteristiche, in particolare grazie alla sua alta resilienza e al suo ciclo di fioritura indipendente dalla variazione delle ore di luce a cui viene sottoposta.
Questi aspetti ben mescolati con le genetiche Indica o Sativa possono dare vita a piante grandi, dai raccolti copiosi e meno delicate delle genetiche pure di Indica e Sativa.
Le sue preziose caratteristiche vegetative sono dovute ai luoghi in cui la pianta si è sviluppata, e cioè le zone più settentrionali del pianeta, come Russia, Cina e Polonia, paesi poco esposti alla luce solare e flagellati da temperature molto rigide.
La Ruderalis è riuscita ad evolvere per non soccombere ad un habitat così ostile, e ha sviluppato un ciclo di fioritura che non varia alle variazioni di luce, ma viene innescato esclusivamente dall'età della pianta.
Per questo motivo le dimensioni di una Ruderalis saranno sempre ridotte e le sue rese produttive alquanto mediocri.
Gli effetti di una varietà Ruderalis pura al 100% sono praticamente inesistenti, a causa dei suoi livelli estremamente bassi di THC e CBD. Tuttavia, attraverso incroci selettivi, è possibile creare varietà a predominanza Indica o Sativa, ma con la resilienza e la proprietà autofiorente della genetica Ruderalis (ibridi con le migliori proprietà di entrambe le specie).
Il processo produttivo per coltivare la cannabis light
Preparazione terreno
La preparazione del terreno per la semina, punto di partenza della fase produttiva, è uno dei fattori fondamentali: un buon terreno (in termini di composizione, nutrienti e contaminanti) sarà, infatti, in grado di regalare un buon prodotto.
Lavoriamo, quindi, per creare un terreno "ospitale" che diventerà l'habitat naturale delle radici, realizzando le condizioni ottimali per la coltivazione con un controllo attento e preciso per evitare lo sviluppo di eventuali piante infestanti e la presenza di contaminanti.
Semina
Il periodo migliore per seminare la Cannabis dipende dalle condizioni del tempo. Il calendario potrebbe essere un aiuto ma è preferibile usare le vecchie tradizioni contadine: le condizioni del tempo. Che rimangono l'unico strumento in grado di garantire la migliore semina, nonché le migliori tecniche di coltivazione.
In teoria bisognerebbe seminare con una temperatura giusta (almeno 9-11°C). Da metà febbraio ai primi di aprile è un range di tempo abbastanza preciso per poter seminare. Di solito ogni seme ha bisogno di poco tempo per germogliare (24-48 ore).
Se il suolo è ben idratato e il clima è mite al punto giusto le giovani piante spunteranno dopo pochi giorni (5-10). Chiaramente queste regole valgono a seconda del tipo di cannabis che dovremo piantare, del clima, del terreno e delle condizioni esterne.
La canapa industriale per fibra è quella che va piantata prima possibile, quella per i semi di canapa giorni dopo, a metà marzo circa.
Anche la densità di semina è fondamentale. Per la coltivazione a biomassa i solchi ogni 10-20 cm sono sufficienti, invece per le infiorescenze, un metro-un metro mezzo di distanza, tra ogni pianta possono essere sufficienti per avere il giusto spazio vegetativo.
Un'altra accortezza, se state seminando per ricavare infiorescenze è la Pacciamatura. Una sorta di copertura (con teli appositi) del terreno che lascia uno spiraglio aperto solo per il seme.
Questa strategia si applica per difendere i singoli germogli e per garantire il giusto apporto di nutrienti (non fa crescere erbe infestanti che “ruberebbero” linfa vitale alle piante di canapa. In più questo sistema è in grado di regolare il flusso dell’acqua piovana, garantendo il giusto apporto.
Infine la profondità di semina. Quella ideale raggiunge 3-5 cm. Attenzione a non “fare solchi” più profondi: i germogli avranno difficoltà a raggiungere l'esterno. Ma neanche troppo in superficie, piantare la canapa a un centimetro di profondità potrebbe creare un letto secco e la germinazione irregolare.
Fase vegetativa
La fase vegetativa è il momento in cui la pianta di Cannabis passa dall'essere una plantula esile, dall'aspetto molto delicato, a presentarsi come un vero albero. La piantina è appena nata dal seme, che si è aperto rivelando un piccolo germoglio fogliato, che sembra davvero indifeso.
La piantina cresce e si irrobustisce, si riempie di foglie via via sempre più grandi, che le permetteranno di assorbire più luce possibile durante la fotosintesi. Il fusto si fa più robusto e si riempie di peletti e il germoglio di solo un paio di settimane prima è solo un ricordo.
Molti coltivatori alle prime armi pensano che la fase vegetativa sia meno importante della fioritura, ma si sbagliano. Il percorso di crescita della pianta è un ciclo, e se una delle sue fasi non è andata come previsto, inevitabilmente ne risentiranno anche le successive.
Una pianta che ha avuto una crescita accidentata si sviluppa molto meno e, di conseguenza, non produrrà i raccolti imponenti che avrebbe potuto dare.
I nutrienti
Durante il periodo di crescita, le piante hanno un bisogno di ricevere molte sostanze nutritive, in particolare azoto e potassio. È facile accorgersi se si sta sbagliando qualcosa: se hanno una carenza di azoto o potassio, le piante ingialliscono velocemente.
Se si usa la terra, questa fase andrà liscia come l'olio, perché il terriccio adatto alla coltivazione della Cannabis contiene già nutrienti sufficienti per tre/quattro settimane. Non occorrerà quindi aggiungere fertilizzanti fino al periodo di fioritura.
La luce
Per quanto riguarda la coltivazione indoor, la maggior parte dei coltivatori sono abituati a sottoporre le proprie piante di Cannabis ad un fotoperiodo di 18 ore di luce e 6 di buio.
Usando lampade HID controllate da un timer. Usare un temporizzatore è fondamentale, perché un fotoperiodo irregolare causa forte stress alle piante, che non avrebbero più modo di capire quando crescere e quando fiorire, con il rischio di farle diventare ermafroditi.
L'alternanza è importantissima, perché luce e buio influenzano il ciclo di vita della pianta. Durante le ore diurne avviene la fotosintesi: attraverso la clorofilla la pianta assorbe la luce e converte l’energia luminosa in energia chimica.
Al contrario, durante le ore di buio la pianta esegue solo la respirazione cellulare prendendo ossigeno e rilasciando biossido di carbonio, essenziale per il metabolismo della cellula.
L’equilibrio tra questi due processi è essenziale per il corretto sviluppo della pianta.
Per quanto riguarda il tipo o la qualità della luce per la fase di crescita, ci sono diverse opzioni.
- Lampade ioduro metallici da 250, 400 e 600W, CFL a bassa potenza;
- lampade miste
- pannelli a LED
- l'illuminazione LEC o CHM.
Se non c’è motivo di accelerare il processo di crescita, è meglio utilizzare lampade a risparmio energetico come CFL a 250W, che sono lampade a luce bianca e fredda, che non producono calore e riducono in modo significativo le spese.
Se invece abbiamo fretta di farle crescere e vogliamo risparmiare tempo nella fase di crescita, utilizzeremo lampadine HM a luce bianca con una potenza di 400W – 600W. Queste lampadine accelerano il processo di crescita ma producono più calore.
Si possono anche usare bulbi HPS misti di 400W – 600W, che combinano gli spettri necessari per la crescita e la fioritura delle piante di marijuana.
Non sarà necessario sostituire la lampada per far entrare la pianta in fioritura, ma bisognerà semplicemente modificare il fotoperiodo, con 12 ore di luce e a 12 di buio.
Più la luce è potente, più produce calore. È un aspetto da non sottovalutare, perché le piante devono vivere tra 22 e 26 gradi nelle ore di luce, e tra 18 e 22 gradi nelle ore di buio.
Bisognerà quindi prestare molta attenzione alla temperatura e munirsi di un buon impianto di ventilazione e di estrazione o, viceversa, usando riscaldamenti o aria condizionata. Se l’ambiente di coltivazione è molto secco, potrebbe anche essere necessario un umidificatore; nella fase di crescita, si consiglia che i valori di umidità relativa siano entro il 60% / 70%.
L'irrigazione
Il fabbisogno d'acqua segue proporzionalmente la crescita della pianta, ed aumenta all'aumentare delle sue dimensioni. La quantità e la frequenza di irrigazione aumentano con il passare delle settimane.
È molto importante essere vigili e rispondere a questa crescente richiesta d'acqua, specialmente nelle colture con fibra di cocco. La temperatura ideale dell’acqua di irrigazione dovrebbe essere di circa 22 gradi.
Controllare il pH (coefficiente che indica l’acidità o alcalinità dell’acqua) e CE (elettro-conduttività o livello di sali disciolti) dell’acqua di irrigazione sono fattori da considerare, perché da esse dipende la miglior assimilazione delle sostanze nutritive della pianta.
Il pH consigliato dell’acqua di irrigazione per una coltura di marijuana nel suolo è tra 6 e 6.8. Il CE dell’acqua deve essere di circa 0,4-1,2 milliSiemens (dipende dal tipo di terreno utilizzato e dalla quantità di fertilizzante che contiene). In cocco e idroponica utilizzeremo un pH più basso, circa 5,5-6 e un CE leggermente più alto, tra 1,4 e 1,6.
La marijuana è una pianta che predilige innaffiature abbondanti, ma non troppo frequenti. Un ottimo sistema per irrigare le piante di Cannabis è aggiungere acqua nelle parti inferiori del suo substrato. In questo modo si riusciranno a controllare con maggiore precisione le esigenze idriche delle piante.
Un modo facile per farlo prevede di riporre i vasi in un contenitore pieno d'acqua, cosicché l'acqua venga assorbita e spinta verso l'alto, dove le radici avranno il compito di assimilarla.
Fase fioritura
Quando la fase vegetativa giunge al termine, la piante di cannabis inizia a sviluppare le cime. La fine della fase vegetativa si riconosce facilmente: quando dai nodi degli esemplari femmina cominciano ad emergere i pistilli, che si presentano come filamenti bianchi, vuol dire che è il momento.
Nell'outdoor la fioritura si attiva durante il mese di agosto, quando le ore di buio e quelle di luce iniziano a bilanciarsi, fino ad arrivare a cicli di 12-12. I coltivatori outdoor piantano di solito tra aprile e maggio, in modo che ad agosto sia tutto pronto ad assecondare il suo ciclo naturale senza compromettere la resa del raccolto.
Chi coltiva indoor può attivare la fioritura delle piante impostando un ciclo di illuminazione 12-12 (ovvero 12 ore di luce, 12 ore di oscurità completa). Durante la fioritura, la dimensione delle cime aumenta progressivamente.
Quando le piante raggiungono una struttura e una dimensione ottimali, i coltivatori indoor modificano il fotoperiodo. Quando il ciclo passa da una fase 18-6, con 18 ore di luce e 6 ore di buio, a una fase 12-12, la pianta entra in allarme.
La pianta di cannabis percepisce che l'inverno si sta avvicinando e che il suo ciclo vitale è in esaurimento. Perciò attiva la fase di fioritura, per produrre fiori e semi da rilasciare nell'ambiente per potersi riprodurre.
Nei primi giorni di fioritura le piante di cannabis entrano in una fase di transizione: la pianta crede che l'inverno si stia avvicinando e tenderà a mostrare una crescita più accelerata. Potrebbero addirittura raddoppiare la dimensione iniziale, oltre a sviluppare una gran quantità di foglie e rami per diventare più forti e robuste.
Nella seconda settimana di fioritura saranno già visibili i primi pistilli bianchi, che inizieranno a comparire su tutte le piante di sesso femminile.
Si tratta di peletti bianchi che compaiono tra il fusto principale e i rami secondari, che si raggruppano fino a formare le cime. Questo è il momento in cui emerge la differenza tra piante maschio e piante femmina; i maschi non sviluppano i pistilli – che altro non sono che gli organi riproduttivi femminili – bensì piccoli sacchi pollinici.
In questa fase è importante riconoscere tempestivamente le piante maschio e allontanarle dalle femmine, per evitare che impollinino i fiori vicini, con il risultato di riempirli di fastidiosi semi.
Durante la terza settimana di fioritura la dimensione delle piante dovrebbe essere il doppio rispetto alla settimana uno. In questa fase però gli scatti di crescita iniziano gradualmente a diminuire, fino ad arrestarsi completamente.
Dove prima iniziavano ad intravedersi i primi peletti bianchi stanno prendendo forma i primi abbozzi di cima. Le piante non presentano ancora grandi quantità di ghiandole di resina e tricomi, il che significa che gli odori saranno ancora leggeri e poco pungenti.
È importante vigilare sulla quantità di sostanze nutritive che state fornendo alla pianta, perchè in questa fase il fabbisogno aumenta in proporzione allo sforzo di crescita.
Vigilare però non vuol dire esagerare, per non correre il rischio opposto: le piante a cui è stata fornita un'eccessiva quantità di concime potranno presentare le cosiddette “bruciature da fertilizzanti", che si manifestano sulle punte delle foglie, che tendono a scolorirsi.
Se ciò dovesse accadere, bisogna ridurre subito l'apporto di fertilizzanti.
Nella quarta settimana della fase di fioritura le piante di cannabis dovrebbero ormai aver smesso di crescere, dedicando tutte le energie allo sviluppo delle cime.
Col passare dei giorni i peletti bianchi si uniranno fino a formare le cime, sempre più grandi e pesanti. In questa fase le piante aumentano la produzione di tricomi e sprigionano odori molto pungenti.
Nella quinta settimana di fioritura le cime sono visibili su tutte le ramificazioni delle piante. Man mano che il numero di cime aumenterà, le piante di cannabis diverranno sempre più tozze e pesanti.
Lo sviluppo dei fiori e l'odore molto intenso avvertono che si è entrati nel pieno della fioritura.
Alcuni dei pistilli bianchi potrebbero diventare più scuri e tendere al marrone. La fioritura è nella sua ultima fase, che dovrebbe concludersi entro tre o quattro settimane.
Tecniche di coltivazione
Ci sono molte tecniche che promettono raccolti più abbondanti, ma si tratta di metodologie complesse che, se non eseguite correttamente, potrebbero causare l'effetto contrario o addirittura la morte della pianta.
Una di queste tecniche è la defogliazione: si rimuovono le foglie inferiori e quelle molto grandi per esporre il più possibile la pianta alla luce e permettere alle cime di svilupparsi al meglio e più in fretta. È una tecnica che stressa molto la pianta, ma – se eseguita correttamente – porta i risultati sperati.
Defogliazione è un termine generico per indicare la rimozione di foglie dalle piante. È una tecnica molto diffusa anche in altre coltivazioni, e può essere eseguita in modi diversi per ottenere effetti diversi.
Ci sono molte specie vegetali che rispondono bene alla defogliazione, come il cotone, la chia e il trifoglio.
La defogliazione è una forma di potatura e consiste nel rimuovere a mano le foglie dalle piante di cannabis, per concentrare la produzione di resina nelle cime più grandi e migliorare la resa al momento del raccolto.
Con la defogliazione il coltivatore può manipolare la crescita della pianta: più nodi riceveranno la luce diretta e più fiori si svilupperanno, con maggiori quantità di resina.
Anche il maggior flusso d'aria attraverso l'intera struttura della pianta aiuterà a prevenire gli attacchi di agenti patogeni e a favorire un efficiente scambio di gas da parte degli stomi.
Ci sono diverse tecniche di defogliazione: il Topping, il Main-lining, il Lollipopping e lo Schwazzing.
Essiccazione e concia
I fiori sono pronti ad essere raccolti, la pianta è carica di infiorescenze e l'aroma è aspro, pungente e persistente. La fase della coltivazione è terminata, ma le cime non sono ancora pronte per essere utilizzate.
Anzi, questo è il momento più delicato: le cime fresche sono molto vulnerabili, la resina e l'acqua che contengono può farle ammuffire con facilità, vanificando gli sforzi di mesi e mesi.
Essiccando e trattando le cime di cannabis si possono migliorare il sapore e l'aroma delle infiorescenze, grazie al processo di decomposizione della clorofilla, che – se messo in atto in maniera graduale – rende meno aspro il sapore delle cime essiccate.
L'essiccazione e la concia possono ridurre il rischio che si sviluppi ansia dopo aver fumato cannabis e possono persino aumentare la potenza dei cannabinoidi.
Inoltre, trattare adeguatamente le cime di cannabis può prolungarne la durata, in modo da potersi godere i frutti del proprio lavoro per molto tempo.
La fase dell'essiccazione inizia non appena le piante vengono potate. Le cime appena tagliate – in questa fase – risultano estremamente appiccicose e umide, grazie alla presenza di un'elevata quantità di resina psicoattiva.
La resina, unita all'acqua ancora contenuta all'interno dei fiori freschi, è il terreno perfetto per la proliferazione di batteri, funghi, e altri agenti contaminanti. In questa fase è importante agire con tempestività, evitando di lasciare le cime fresche a contatto con l'ambiente circostante per lungo tempo.
Ci sono molte tecniche di potatura per recidere le cime fresche ed avviare la fase dell'essicazione.
- La tecnica del wet trimming consiste nel potare le piante appena esse giungono a maturazione, tagliando i rami uno per volta con forbici affilate o cesoie, in modo da eliminare tutta la vegetazione circostante. Le cime sono l'obiettivo principale di questa potatura, ma anche le foglie contengono una piccola quantità di cannabinoidi e resina e possono essere conservate separatamente, per essere usate per realizzare prodotti alimentari e cosmetici. Se si usa la tecnica del wet trimming, le cime fresche dovranno essere sistemare su una superficie orizzontale piuttosto ampia, che fornisca ai fiori l'adeguata ventilazione. L'opzione migliore è posizionare le cime su una rastrelliera o una griglia con rete metallica. In questo modo l'aria raggiungerà tutta la superficie della cima.
- La tecnica del dry trimming è usata soprattutto quando si ha poco tempo e molte piante da potare. In questa procedura occorre tagliare i rami e appenderli per intero per farli seccare. Quando la pianta è secca, si inizia a potare e a trattare le cime. Il dry trimming è più difficile da effettuare e spesso risulta meno accurato, perché le piccole sugar leaves (foglie di zucchero) saranno piegate verso il fiore. Inoltre, con il dry trimming si rischia di perdere resina preziosa. Essa infatti può cadere dalla pianta quando i rami vengono maneggiati e appesi.
Indipendentemente dal metodo di potatura utilizzato, è essenziale eseguire l'intera procedura all'interno di una stanza adibita all'essiccazione. Una stanza per l'essiccazione dovrebbe essere un ambiente fresco e buio, con una temperatura di circa 15-22°C.
Problemi
Ci sono diversi fattori da tenere sotto controllo per fare in modo che i risultati dell'essiccazione siano perfetti. È importante tenere sotto controllo la temperatura, l'umidità, la luce e il ricircolo dell'aria.
- Temperatura Durante i primi 3 giorni sarebbe ottimale tenere le piante a una temperatura stabile di 20 gradi Celsius. In questo modo i germogli si asciugheranno velocemente, senza seccarsi eccessivamente. Dopo i primi 3 giorni la temperatura dovrebbe essere abbassata a circa 17-18 gradi Celsius in modo da rallentare il processo.
- Umidità Durante i primi 3 giorni l'umidità relativa dovrebbe aggirarsi intorno al 50%. Dopo tre giorni l'umidità relativa dovrebbe salire a circa il 60%, anche in questo caso per rallentare il processo di essiccazione.
- Ricircolo d'aria È' molto importante che ci sia abbastanza ricircolo d'aria nella stanza, per questo è consigliabile utilizzare un ventilatore elettrico. Un dispositivo di ventilazione può anche tornare utile per controllare la temperatura e l'umidità. Non puntare, però, l'apparecchio direttamente sui germogli, ciò potrebbe seccare i germogli di cannabis in modo improprio.
- Buio La stanza dovrebbe essere relativamente buia poiché la luce, soprattutto i raggi diretti del sole, degradano il THC.
Come interagisce la cannabis light con il nostro corpo
Gli effetti benefici della cannabis sono tantissimi, e spesso si dimostrano più potenti e risolutivi rispetto a quelli dei farmaci omologhi. Come è possibile? La cannabis è una pianta molto preziosa, che offre un supporto reale nel trattamento di patologie anche molto diverse tra loro.
Uno dei suoi principi attivi principali, il CBD – che non ha effetti psicoattivi – si è dimostrato efficace nel trattamento di disturbi dell'umore e del sonno, dei dolori mestruali, dell'epilessia, di problemi legati alla sfera sessuale ed anche nel trattamento del dolore cronico e dei sintomi della chemioterapia.
La marijuana è ormai una nuova frontiera del trattamento clinico di molte patologie, sia utilizzata in forma concentrata – oli o cristalli a base di CBD – sia nella sua forma “naturale” – e cioè infiorescenze da fumare o da utilizzare per preparare infusi e tisane.
Di certo la composizione chimica della cannabis è potente per natura, sia nella sua versione terapeutica, ricca di THC e CBD, sia nella versione light, in cui prevale il CBD mentre il THC è presente in quantità ridotte (<0,2%).
I suoi effetti, però, sono amplificati dalla reazione dell'organismo umano all'interazione con i cannabinoidi: il corpo umano è dotato di un gruppo di recettori, detto sistema endocannabinoide, che si attivano appena entrano in contatto con i principi attivi della cannabis.
Sistema endocannabinoide
Il sistema endocannabinoide è costituito da un gruppo di recettori contenuti nelle cellule del corpo umano che, interagendo con i composti presenti all'interno delle piante di Cannabis, dà origine agli effetti benefici della cannabis sull'organismo.
Questi recettori sono presenti in tutto l'organismo umano, con maggiori concentrazioni in alcune zone, e sono normalmente attivati dai cosiddetti endocannabinoidi, composti assimilabili a quelli della cannabis, presenti naturalmente all'interno del nostro corpo.
Le molecole contenute nelle piante di Cannabis, dette cannabinoidi o fitocannabinoidi, hanno una struttura molecolare molto simile a quella degli endocannabinoidi prodotti dall'organismo umano e, quindi, attivano gli stessi recettori.
Sia il THC che il CBD interagiscono con questi recettori influenzando l'appetito, le funzioni immunitarie, la gestione del dolore e molti altri fattori.
Il sistema endocannabinoide è presente nell'organismo di quasi tutti i mammiferi, compreso l'uomo.
Ogni cosa presente nel corpo ha una precisa funzione, e il sistema endocannabinoide ha la funzione di mantenere l'omeostasi dell'organismo, e cioè di fare in modo che gli equilibri interni di ognuno di noi restino costanti nel tempo.
Questo sistema è costituito da recettori presenti all'interno delle cellule del corpo, che reagiscono solo a specifiche molecole.
Il ECS (Endocannabynoid System) reagisce a tutti i cannabinoidi, sia quelli contenuti nella pianta di cannabis, i famosi fitocannabinoidi THC e CBD, sia quelli prodotti naturalmente dal corpo umano, come l'anandamide.
Come mai? Tutti i cannabinoidi condividono una struttura molecolare molto simile, perciò i processi di omeostasi innescati dagli endocannabinoidi vengono attivati anche in presenza di THC e CBD.
Questo incredibile sistema fu scoperto dal Dott. Ralph Mechoulam, del Dipartimento di Chimica Farmaceutica e Prodotti Naturali presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Ebraica di Gerusalemme.
Il Dott. Mechoulam fu anche colui che scoprì il THC, come principale componente attivo della pianta di Cannabis. Questo padrino della Cannabis constatò che il sistema endocannabinoide è costituito principalmente da due recettori: CB1 e CB2.
Il recettore CB1 interagisce con il THC attraverso meccanismi molto particolari. Questi recettori si trovano principalmente nel cervello e negli organi riproduttivi maschili e femminili, ed è per questo che il THC non solo provoca il cosiddetto "high" psicoattivo, ma può agire efficacemente anche sul dolore.
Il recettore CB2, invece, è presente sia nel sistema nervoso che in quello immunitario. I recettori CB2 sembrano avere un rapporto intimo con il famoso cannabinoide terapeutico CBD, capace di attivare forti risposte antinfiammatorie.
Considerando che i cannabinoidi interagiscono con il nostro corpo in diversi modi, le potenziali applicazioni di queste molecole in campo medico continuano a moltiplicarsi, come si moltiplicano gli studi finalizzati a scoprirne di nuovi.
I cannabinoidi endogeni (endocannabinoidi)
Gli endocannabinoidi sono una classe di lipidi bioattivi e hanno in comune la capacità di legarsi ai recettori cannabinoidi.
Il primo endocannabinoide ad essere stato identificato, nel 1992, è l'anandamide (AEA), seguito dal 2-arachidonoilglicerolo (2-AG), dal 2-arachidonil-gliceril-etere (noladin, 2-AGE), dalla la virodamina e la N-arachidonoildopamina (NADA), identificati più di recente.
- L'anandamide, o arachidonoiletanolammide (AEA), è un neuro-modulatore che mima gli effetti dei composti psicoattivi presenti nella cannabis, noti come cannabinoidi. Questo composto, il cui nome deriva dal sanscrito "ānanda", beatitudine interiore, è stato isolato e caratterizzato dal chimico ceco Lumír Ondřej Hanuš e dal farmacologo americano William Anthony Devane nel laboratorio di Raphael Mechoulam dell'Università di Gerusalemme nel 1992. La sua localizzazione nel SNC è a livello della membrana postsinaptica del cervello e, se liberata, si lega i recettori CB1. La sua presenza è stata inoltre osservata nel plasma suggerendo anche un suo ruolo a livello ormonale.
- Il 2-AG invece è presente in una quantità notevolmente più alta e agisce invece più selettivamente sul recettore CB1. Quest'ultimo recettore è il maggiore responsabile degli effetti stimolanti e neuromodulanti della cannabis, soprattutto per quanto riguarda il THC.
- L'N-Arachidonoildopamina (NADA) è un altro endocannabinoide che attiva i recettori CB1 e TRPV1 e la sua azione è particolarmente importante nella Substantia Nigra, area interna del cervello adibita a produrre dopamina e altri neurotrasmettitori. La sua azione su questa zona cerebrale è stata studiata recentemente ed è stato scoperto che, insieme ad alcuni oppioidi, gli endocannabinoidi azionano ed inibiscono parti alternate della Substantia Nigra.
- Il Palmitoiletanolamide (PEA), il Lisofosfatidilinositolo (LPI) e il Noladin sono altri endocannabinoidi da tenere in considerazione per la loro abilità di attivare recettori specifici. Il PEA agisce maggiormente sui recettori PPAR-Alfa, favorendo la risposta immunitaria e la protezione dalle infiammazioni, ma, anche sui recettori CB3 e CB4. Il LPI agisce sui recettori CB3 favorendo l'apprendimento spaziale. Il Noladin, invece, agisce sui recettori CB1, CB2, CB3, TRPV1 e PPAR-Alfa azionando l'intero sistema cannabinoide e vantando un tempo d'azione maggiore, grazie alla sua degradazione lenta.
Come funziona il sistema endocannabinoide?
Questi mediatori lipidici, insieme con i recettori dei cannabinoidi e i correlati processi di sintesi, trasporto e degradazione, costituiscono il cosiddetto sistema endocannabinoide.
Gli endocannabinoidi vengono prodotti all'interno delle cellule neuronali, ma non vengono immagazzinati in vescicole; vengono, invece, sintetizzati al bisogno, in seguito a uno stimolo che provoca la depolarizzazione della membrana cellulare.
Una volta sintetizzati, gli endocannabinoidi vengono immediatamente rilasciati dalla cellula e si legano ai recettori cannabinoidi presenti su cellule limitrofe o sulla stessa cellula che li ha prodotti, comportandosi così come mediatori autocrini o paracrini.
In particolare si è ipotizzato che gli endocannabinoidi si comportino da messaggeri retrogradi: sintetizzati nella cellula postsinaptica, andrebbero ad attivare i recettori CB1 degli assoni della cellula presinaptica.
Espletata la loro azione biologica, gli endocannabinoidi verranno inattivati mediante meccanismi di degradazione o di riciclo regolati enzimaticamente.
Tali processi prevedono la “ricaptazione” degli endocannabinoidi (reuptake) per diffusione passiva attraverso la membrana cellulare, l'idrolisi intracellulare enzimatica e il riciclo dei prodotti di idrolisi nei fosfolipidi di membrana.
Ma come fanno i cannabinoidi ad avere un impatto così potente sul nostro organismo? Il sistema endocannabinoide regola essenzialmente tutte le funzioni ed i processi di base del nostro corpo:
Con l'obiettivo di mantenere l'omeostasi, il che significa che agisce direttamente su umore, sonno, appetito, metabolismo, dolore, memoria, funzioni immunitarie, infiammazioni, funzioni neuroprotettive e di sviluppo, digestione.
I cannabinoidi esogeni
A differenza degli endocannabinoidi, i cannabinoidi esogeni, come quelli presenti nelle piante di Cannabis, possono entrare nel nostro organismo e rimanere attivi per periodi di tempo molto più lunghi.
Ciò ha un effetto nettamente superiore sull'attivazione del sistema endocannabinoide (SEC), permettendo ai suoi processi di lavorare con molta più efficacia di quanto non riescano a fare normalmente.
- La ricerca ha dimostrato che il cannabinoide THC si lega ad entrambi i recettori (CB1 e CB2), attivando in entrambi i casi il sistema endocannabinoide. Gli effetti del THC sono comunemente considerati psicologici, ma il composto in sé ha la capacità di provocare effetti che vanno ben oltre il semplice "high" normalmente associato alla marijuana. Può agire positivamente su dolore cronico, nausea, appetito, asma e glaucoma. Inoltre, è stato dimostrato che ha proprietà benefiche contro il cancro ed effetti simbiotici sul corpo quando viene assunto insieme al CBD.
- Il CBD non ha la capacità di legarsi a tutti i recettori, ma agisce inibendo l'enzima FAAH. Ciò previene e rallenta l'abbattimento dell'anandamide, uno degli endocannabinoidi più importanti del nostro corpo. Il risultato è un accumulo di anandamide nel cervello. Se da una parte il THC provoca effetti psicoattivi a livello cerebrale, dall'altra il CBD agisce a livello corporeo. Tuttavia, la ricerca sui possibili benefici terapeutici di quest'ultimo cannabinoide è solo agli inizi. Oggi sappiamo per certo che aiuta nelle terapie per trattare alcuni problemi di salute gravi, inibendo la crescita di cellule tumorali, riducendo e prevenendo le infiammazioni, la nausea, il diabete, il DPTS, la schizofrenia, l'artrite reumatoide, l'epilessia e le malattie cardiovascolari. Inoltre, ha dimostrato di avere efficaci proprietà antipsicotiche, ansiolitiche ed antidolorifiche contro spasmi muscolari o dolori neuropatici.
Le proprietà terapeutiche del CBD
CBD e dolore cronico
Il cannabidiolo e le sue proprietà antidolorifiche:
come interagisce con il corpo e come controlla il dolore?
Alcuni studi hanno evidenziato come il cannabidiolo sia in grado di influire sui processi chimici caratteristici dell’endocannabinoide chiamato anandamide, una delle molecole neuro-modulatrici associate anche alla percezione del dolore.
Altri studi riportano che il CBD è in grado di attivare recettori coinvolti con la trasmissione e la cronicizzazione del dolore.
Il cannabidiolo è risultato infine essere promettente per il trattamento di due particolari tipi di dolore cronico, quello neuropatico e quello dovuto a un’infiammazione.
CBD e dolore neuropatico
Il meccanismo d’azione dei cannabinoidi è stato studiato nel contesto di varie patologie e condizioni che portano a una condizione di dolore cronico di natura neuropatica, come nel caso della nevralgia trigeminale o dei cicli di chemioterapia.
Gli studi fin ora condotti hanno dimostrato l’ottima efficacia del cannabidiolo nell’intervenire sul dolore neuropatico.
Mentre altri principi attivi della cannabis vengono già impiegati in ambito oncologico per la loro efficacia nell’attenuare la nausea, il cannabidiolo, nello specifico, si è rivelato promettente nei confronti del dolore neuropatico periferico provocato dai farmaci chemioterapici.
Il CBD, inoltre, riduce quelle complicazioni spesso associate al dolore cronico come ansia e depressione. Secondo alcuni studi il CBD, attraverso la sua interazione con i recettori del sistema serotoninergico, riduce queste comorbidità e aiuta il paziente ad affrontare la sua condizione.
CBD e dolore infiammatorio
Il cannabidiolo viene impiegato anche per il trattamento del dolore provocato da un’infiammazione. Vari studi scientifici hanno indagato l’efficacia del cannabidiolo su molte condizioni infiammatorie, come nel caso dell’artrosi.
È dimostrato che l’assunzione di CBD protegge le articolazioni contro danni gravi e riduce l’infiammazione. Il CBD potrebbe essere una valida opzione per il trattamento di diverse situazioni contraddistinte da dolore infiammatorio.
Uno studio pubblicato sulle pagine dello European Journal of Pain ha dimostrato che il CBD applicato sulla pelle può aiutare a ridurre il dolore e l'infiammazione dovuta all'artrite.
La ricerca scientifica sul rapporto CBD e dolore ha fatto passi da gigante negli ultimi anni; così come vengono sempre più studiati i molteplici impieghi che si possono fare della pianta di cannabis nell’ambito della salute umana e animale.
C’è ancora molta strada da percorrere ma, ad oggi, il cannabidiolo può considerarsi a tutti gli effetti un valido alleato per alleviare la sofferenza provocata da una condizione di dolore cronico.
Sempre più medici, infatti, ne suggeriscono l’utilizzo in parallelo con altre terapie per accompagnare la quotidianità di tutte quelle persone che si trovano costrette a convivere con il dolore.
Ansia
"una singola dose di CBD può ridurre e migliorare l'ansia scaturita dall'SPST (simulation public speaking test - test di simulazione di conversazione pubblica) in pazienti affetti da disturbo d'ansia sociale”
L’ansia e lo stress sono sensazioni molti comuni e altrettanto generiche. Uno stato d’ansia può avere molteplici manifestazioni e cause, e si manifesta in maniera diversa in ogni persona.
Nel 2015 è stata pubblicata sulla rivista Neuroterapeuthics la revisione degli studi condotti fino a quel momento volti a verificare i potenziali effetti del CBD nel trattare uno stato d’ansia. I risultati sono molto incoraggianti.
La revisione ha preso in esame 49 studi preclinici, clinici ed epidemiologici; e ha incluso anche le ricerche fatte con tecniche di neuroimmagine (le tecnologie che permettono di studiare il metabolismo cerebrale).
Dalla revisione, curata da Esther M. Blessing, Maria M. Steenkamp, Jorge Manzanares e Charles R. Marmar della New York School of Medicine, è emerso che gli studi preclinici hanno dimostrato l’efficacia del CBD nel ridurre l’ansia provocata da molti disturbi come, ad esempio, il disturbo da stress post-traumatico, quello d’ansia generalizzata, quello ossessivo-compulsivo e molti altri.
È del 2018, invece, lo studio degli scienziati dell’Università di Washington, pubblicato sul Journal of Affective Disorders, che ha preso in considerazione un campione di persone decisamente consistente – più di 1.400 volontari e volontarie – per indagare l’efficacia dei prodotti a base di cannabis nei confronti di ansia e stress.
I ricercatori si sono avvalsi di un’applicazione (Strainprint), con cui i partecipanti indicavano i propri dati (raccolti anonimamente), la quantità e il tipo di cannabis usata e, infine, gli effetti riscontrati.
Dalle 12.000 risposte pervenute agli autori dello studio, è risultato che più della metà (il 58%) percepiva una netta riduzione dell’ansia. In particolare, la cannabis con alto contenuto di CBD e basso di THC è stata indicata come la più efficace per trattare ansia e depressione.
Disturbi del sonno
l CBD contenuto nelle piante di canapa ha la comprovata capacità di ridurre uno stato d’ansia. Le evidenze scientifiche in questo campo hanno fatto sì che la ricerca si interessasse anche alle possibilità di utilizzare il cannabidiolo per migliorare la qualità del sonno e combattere l'insonnia.
Negli ultimi anni è emerso, tra le tante cose, come il CBD sia d’aiuto nel ridurre i disturbi della fase REM del sonno in quelle persone affette dalla malattia di Parkinson, e che spesso si manifestano in azioni fisiche durante il sonno, ponendo l’individuo a numerosi rischi per la propria incolumità.
Risultati come questo hanno spinto il mondo dei ricercatori ad approfondire sempre di più le indagini sul ruolo che può giocare la cannabis mentre dormiamo.
CBD e sonno la ricerca fino a oggi
La revisione di tutte le ricerche preliminari sulla cannabis e l'insonnia suggeriscono che il cannabidiolo (CBD) può avere un potenziale terapeutico per il trattamento dell'insonnia.
Il delta-9 tetraidrocannabinolo (THC), invece, può sì ridurre la latenza del sonno, ma potrebbe compromettere la qualità del sonno a lungo termine.
Il CBD si è dimostrato più che promettente per intervenire sui disturbi del sonno e, se assunto a basse dosi, sull'eccessiva sonnolenza diurna. La ricerca sulla cannabis e sul sonno, pur essendo ancora nelle sue fasi iniziali, ha dato risultati positivi.
Ulteriori ricerche controllate e longitudinali sono fondamentali per migliorare la nostra comprensione della ricerca e delle implicazioni cliniche.
CBD: ansia e sonno
I pazienti con disturbo post-traumatico da stress (PTSD) spesso lamentano disturbi del sonno, come l'insonnia o varie anomalie durante la fase REM. Il cannabidiolo (CBD), un componente della cannabis, riduce il sonno fisiologico non-REM (NREM) e il sonno REM.
Considerando che la progressione uno stato d’ansia è causata, in generale, da uno stress persistente per un periodo di tempo, alcuni ricercatori della Taiwan National University hanno voluto verificare se il cannabidiolo si sarebbe dimostrato efficace nel mitigare i disturbi del sonno provocati dall’ansia.
L’equipe di ricerca ha sottoposto alcuni topi a varie procedure standard per poi somministrare loro CBD.
I ricercatori hanno subito notato come l’ansia in generale fosse diminuita (confermando i già numerosi risultati in questa direzione). Inoltre, come era stato intuito, il CBD ha efficacemente bloccato lo stato d’ansia che interveniva durante la fase REM del sonno, permettendo ai topi lunghi riposi ristoratori.
La cannabis si sta dimostrando ogni giorno di più una utile alleata per migliorare la qualità del nostro riposo. L’importante, come sempre, è consumare prodotti di qualità, certificati e prodotti in maniera naturale.
Epilessia
“Il cannabidiolo si sta dimostrando efficace in pazienti farmacoresistenti per alcune forme più gravi di epilessia, con una riduzione della frequenza delle crisi di quasi la metà.”
"In futuro in Italia potrebbe diventare un'alternativa di cura per decine di migliaia di persone", afferma Marilena Vecchi, neuroepilettologa del Dipartimento della Salute della donna e del bambino dell'azienda ospedaliera di Padova, responsabile del Centro di riferimento nazionale Lice per la diagnosi e cura dell'epilessia infantile.
Il CBD si presenta come un potenziale farmaco nella categoria degli antiepilettici, già nel febbraio del 2016 uno studio condotto da un team di scienziati israeliani mostrava le potenzialità del cannabidiolo. La ricerca è stata condotta su 74 adolescenti affetti da una forma grave di epilessia, per circa tre mesi.
Il caso simbolo che ha posto al centro dell’attenzione il tema epilessia - CBD è quello di Charlotte, una bambina di 3 anni affetta da 600 crisi epilettiche al giorno.
Gli effetti del CBD su Charlotte furono immediati tanto da ridurre drasticamente le crisi epilettiche. Ciò ha portato ovviamente uno straordinario aumento della qualità della vita di Charlotte e della sua famiglia.
L’auspicio è che la Ricerca e lo Studio sull’efficacia del CBD in questo tipo di malattie prosegua in maniera consistente per aiutare i bambini affetti dalla Sindrome di Dravet.
Altri effetti del CBD a livello terapeutico
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Migliora sintomi della schizofrenia
Alcune ricerche scientifiche hanno dimostrato che il CBD produce effetti antipsicotici e potrebbe avere un profilo d’azione simile a quello di altri farmaci antipsicotici. Tuttavia non si conosce ancora nel profondo il meccanismo con cui il CBD svolge questa azione. -
Protegge dalle malattie neurodegenerative
Diversi studi hanno dimostrato che il CBD è in grado di inibire la formazione delle classiche “placche” tipiche della malattia di Alzheimer e riduce la morte delle cellule cerebrali. -
Allevia la nausea
La cannabis è stata usata per secoli come antinausea e antiemetico. Uno studio sui ratti del 2012 pubblicato nel British Journal of Pharmacology ha scoperto che i vantaggi del CBD includono effetti antinausea ed effetti antiemetici. -
Riduce l'incidenza del diabete
Una ricerca del 2006 ha rilevato che il trattamento con CBD ha ridotto significativamente l’incidenza del diabete in topi diabetici non obesi, da un’incidenza del 86% in topi non trattati ad un’incidenza del 30% nei topi trattati con CBD. Anche in questo caso, però, si stanno cercando ulteriori conferme. -
Promuove la salute cardiovascolare
Uno Studio datato 2013 e pubblicata dal British Journal of Clinical Pharmacology riporta che il CBD protegge dai danni vascolari causati da un elevato livello di glucosio, da infiammazioni o da diabete di tipo 2. -
Trattamento della sclerosi multipla
Molteplici studi hanno dimostrato come la combinazione CBD - THC, è efficace e ben tollerata nel trattamento della contrazione muscolare, del dolore, dei disturbi del sonno e dell’incontinenza urinaria nelle persone con sclerosi multipla. -
Artrite reumatoide
A causa del suo effetto antinfiammatorio, i cannabinoidi possono fornire sollievo dal dolore alle articolazioni e dal gonfiore, e diminuire la distruzione congiunta e la progressione della malattia. E’ dimostrato che l’assunzione di CBD protegge le articolazioni contro danno gravi, diminuisce la progressione, migliora il movimento, la qualità del sonno e riduce l’infiammazione in sole 5 settimane. -
Aiuta contro l'acne e la psoriasi
Molti studi hanno dimostrato che il cannabidiolo abbia una grande efficacia e benefici per la nostra pelle, un elemento che ha fatto sì che venisse sempre più utilizzato in ambito cosmetico. -
Riduce la depressione
Secondo i ricercatori, il CBD ha un’efficacia simile a quella degli antidepressivi. Uno studio ha scoperto che gli effetti antidepressivi del cannabidiolo sono veloci, continui nel tempo e paragonabili a un comune farmaco antidepressivo.