In uno degli ultimi articoli ci siamo occupati delle tecniche di micro coltivazione della pianta di cannabis, ovvero la coltivazione mirata di pochi esemplari in uno spazio di coltivazione ristretto. Volta al soddisfacimento del consumo personale. In quel caso abbiamo solo accennato sommariamente alle questioni riguardanti l’illuminazione, e dunque in questo articolo le tratteremo più specificamente.
Prima di cominciare rimandiamo al nostro precedente articolo anche per quanto riguarda le raccomandazioni d’obbligo sulle leggi vigenti in Italia in materia di coltivazione della cannabis.
Nell’ambito della coltivazione indoor (cioè in interni) l’illuminazione gioca un ruolo determinante sulla riuscita della crescita di una pianta di cannabis, forse la più importante.
Perché usare l’illuminazione artificiale?
Il sole è il perno della vita vegetale, poiché permette funzioni vitali della pianta quali la fotosintesi clorofilliana e la traspirazione (una specie di autoregolazione idrica).
L’intensità dell’illuminazione, il tipo di spettro luminoso (luce calda o fredda) e la collocazione della fonte ovvero la sua posizione e distanza rispetto alla pianta sono fattori essenziali da tenere in considerazione per un micro coltivatore.
E la possibilità di non dipendere dai capricci del meteo o semplicemente dall’ubicazione della nostra coltivazione rispetto alla posizione del sole consente delle vere e proprie manipolazioni dei cicli luce-buio cui sottoporre le piante, senza controindicazioni e con ottimi risultati.
E in effetti la tecnologia su cui si basano gli attuali sistemi di illuminazione artificiale in ambito colturale ha compiuto enormi progressi in questi ultimi due decenni anche grazie alla crescente domanda di cannabis… casalinga di alta qualità.
Esistono sul mercato lampade fluorescenti, a risparmio energetico, ad alto rendimento, a LED con spettro di luce regolabile e chi più ne ha più ne metta. Questo è sintomatico del fatto che non esiste la miglior illuminazione in assoluto per una coltivazione indoor: tutte possono essere soluzioni valide, esiste però la più adatta ai progetti e alle esigenze di ogni… coltivatore in erba!
E quindi una piccola guida per orientarsi nella crescente offerta di tipi di luci artificiali sta diventando sempre più un passo obbligato per non rischiare di affidarsi al caso ma al contrario fare una scelta personalizzata e consapevole.
Vediamo allora i principali modelli di lampade esistenti, e confrontiamo i vantaggi e gli svantaggi di un loro possibile utilizzo.
Quali sono i principali tipi di illuminazione per la coltivazione indoor?
Partiamo dalle lampade CFL, acronimo di Compact Fluorescent Lights, traducibile in Lampade Compatte Fluorescenti). Con questo nome pomposo si indicano quelle ordinarissime lampade fluorescenti a basso consumo, tipicamente installate anche in casa o in piccole rimesse.
Abbiamo scelto di partire da queste perché l’indubbio vantaggio di una spesa contenuta le rende molto appetibili e di fatto largamente diffuse fra i coltivatori indoor.
Oltre ai consumi ridotti (e ad attacchi standard adatti a pressoché tutti i portalampada) le lampade CFL offrono comunque anche un ottimo apporto per la crescita della pianta. Altri indubbi vantaggi sono la reperibilità (negozi di casalinghi, ferramenta…) e la notevole gamma di spettri luminosi possibili: dalle luci più “freddine” adatte alla fase di crescita alle luci più calde, raccomandabili per la fase di fioritura.
Va riscontrato per contro, che rispetto a modelli sviluppati ad hoc per la coltivazione, le lampade CFL sviluppano un’intensità luminosa inferiore e dunque il numero di lampade che andrà installato per metro quadro o numero di piantine sarà maggiore. Un altro fattore da tenere in conto è che tendono a scaldarsi nel tempo e questo in un ambiente ristretto potrebbe costituire un problema.
E’, quello del surriscaldamento, un problema anche delle lampade HID (High Intensity Discharge, ovvero Scarica ad alta intensità) anzi: con queste -è bene dirlo subito- si necessita un impianto di ventilazione per dissipare il calore.
A differenza delle prime, questo tipo di lampada è concepito appositamente per la coltivazione indoor e guarda caso si presta particolarmente bene per la coltivazione di cannabis. Anche le HID dispongono di una varietà di lampadine con diversi spettri, dal più freddo al più caldo a seconda -come già detto- della fase vegetativa della pianta.
Rispetto ad altri kit di illuminazione professionali, le HID sono relativamente economiche all’acquisto, anche se le lampadine vanno periodicamente sostituite perché soggette a un calo di luminosità. L’installazione è semplice, ma il kit prevede un alimentatore specifico non omologabile.
Un ultimo aspetto da tenere a mente è che come suggerisce il nome, il consumo energetico e la relativa spesa in bolletta non sono da sottovalutare.
Ci sono poi le lampade al LED, più note al grande pubblico perché utilizzate anche in casa. Come constatato da molti di noi, le ultime luci a LED consentono intensità e penetrazione luminosa notevoli. Altri punti a favore ben noti sono la assenza di calore generato, la durata prolungata e i bassissimi consumi.
Il prezzo delle luci a LED non è però dei più bassi, e quando si tratta di acquistare in kit per coltivazione il prezzo lievita ulteriormente. Lo si potrebbe consigliare a chi pensa di ammortare la spesa a forza di… raccolti!
E per restare in ambito di alte performance ad alti prezzi, ecco le lampade al plasma. Qui siamo proprio al non plus ultra, se non altro in termini di portafoglio.
Il funzionamento delle lampade al plasma è estremamente sofisticato. Per semplificare molto sappiate che la lampadina si accende tramite il surriscaldamento generato da microonde. Ovvero nessun allaccio all’energia elettrica, e quindi niente usura e consumo. Questa può essere una giustificazione ai prezzi fuori dalla portata dei più, e tuttavia dobbiamo sconsigliare le lampade al plasma ai semplici appassionati.
Proseguiamo la nostra rassegna con le lampade LEC (che sta per Light Emitting Ceramic). Devono il loro nome al tubo di scarica (http://lft.unich.it/laboratorio-fisica-tecnica/images/pdf/lezioni/illuminotecnica3.pdf ), realizzato appunto in ceramica.
La tecnologia dietro alle lampadine LEC agli alogenuri metallici si è concentrata nel tentativo (riuscito) di riprodurre uno spettro luminoso quanto più simile a quello naturale, generato dal sole. Questa potenzialità presenta notevoli vantaggi, non ultimo la naturale inclinazione della luce del sole ad esaltare gli aromi delle piante di cannabis.
Inoltre, la luce generata dalle lampade LEC emette raggi UV-B i quali sembrano essere i principali responsabili della produzione di tricomi durante la fase della fioritura. Ma attenzione: è scientificamente accertato che il vetro impedisce il totale irradiamento dei raggi UV-B, e dunque bisognerà curare di eliminare ogni ostacolo fra la fonte luminosa e la pianta per sfruttarne a pieno l’efficacia.
Per quanto riguarda gli svantaggi dell’impiego di queste luci, oltre ai già citati notevoli costi, va aggiunto che i raggi UV-B diffusi da questo tipo di lampade sono dannosi per l’essere umano, compromettendo la salute di occhi e pelle se direttamente esposti. Questo significa che, se non utilizzate una grow room ermeticamente schermata, si rende necessario un sistema di copertura che consenta di direzionare le luci alle sole piante, il quale va tenuto in considerazione in fase di preventivo-spese.
Infine: il caro vecchio neon! Beh: sul neon abbiamo poco da aggiungere che non sappiate già. Con una classica plafoniera al neon potrete allestire un kit di illuminazione di facile fattura (ma ne esistono anche di specifici per la coltivazione), economico e ridotto nei consumi energetici. Oltretutto il neon è una fra le illuminazioni che sviluppa meno calore, e chi lo ha sperimentato per coltivare indoor assicura buoni risultati.
Insomma: se avevate dei dubbi speriamo di avervi illuminato!