Il 30 maggio la Corte di Cassazione si è pronunciata sul futuro dei derivati della cannabis light. Lo ha fatto con queste parole: "è reato commercializzare l'olio e la resina derivati dalla cannabis" se non si dimostra l'assenza di effetto drogante.
Il tema è molto complesso, soprattutto perché coinvolge un grandissimo numero di aziende e di persone che hanno deciso di investire in un mercato nuovo e in espansione. L'Italia, insieme alla Svizzera, nel 2018 ha legalizzato il consumo della cosiddetta cannabis light, cannabis sativa privata quasi del tutto del THC.
La cannabis light contiene THC e CBD al pari di ogni altra pianta di cannabis, ma le percentuali dei due principi attivi sono diverse rispetto a quelle della pianta illegale, e sopratutto sono regolamentate. La canapa legale infatti può contenere fino allo 0,2% di THC, quantità che esclude il manifestarsi di effetti psicoattivi, garantendo il rilassamento dovuto al CBD e nessun altro effetto collaterale. Negli ultimi anni sono stati moltissimi i paesi che hanno legalizzato la marijuana a scopo terapeutico o a scopo ricreativo, restituendo dignità a una pianta dalle mille potenzialità.
Come è stata legalizzata la cannabis light in Italia?
In Italia la marijuana light è legale grazie alla legge 242/2016 sulla coltivazione e la filiera della canapa. La legge ha restituito dignità a una pianta preziosa, che definisce come “una coltura in grado di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, nonché come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione”.
Si tratta di cannabis sativa a bassissimo contenuto di THC ( < 0,2%), e in particolare la norma “si applica alle coltivazioni di canapa delle varietà ammesse iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, le quali non rientrano nell’ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope”.
La legge, che mirava a tutelare i coltivatori, non fa però nessuna menzione delle infiorescenze. Per produrre la cannabis "light", che mantiene le proprietà del cannabidiolo senza gli effetti psicoattivi del THC, si usano le infiorescenze di canapa industriale già presenti nell'elenco ufficiale delle sementi coltivabili in Italia, quindi già con un tenore di Thc inferiore al limite di legge. Si tratta di fiori che avanzano dalla produzione per altri scopi e la cui vendita non è apertamente concessa dalla legge 242/2016.
La crociata di Matteo Salvini
È proprio la vendita di infiorescenze a destare sospetti all'interno del nuovo governo. Il leader della Lega Matteo Salvini si è da subito esposto per fermare l'apertura di nuovi canapa shop e la vendita di infiorescenze, convinto del fatto che dietro la facciata legale, quei negozi celino un business illegale.
"Darò indicazioni a tutti i responsabili delle forze dell’ordine - ha detto Salvini - di andare a controllare tutti i negozi, i presunti negozi turistici di cannabis, che per quanto mi riguarda vanno sigillati dal primo all’ultimo perché sono un incentivo allo spaccio e all’uso di sostanze stupefacenti. Ce ne sono più di mille al di fuori di ogni regola e ogni controllo. Io non aspetto i tempi della giustizia, la droga è un'emergenza nazionale devastante e dunque dobbiamo usare tutti i metodi democratici per chiudere questi luoghi di rieducazione di massa. Ora usiamo le maniere forti."
La pronuncia della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione doveva pronunciarsi per trovare un punto d’incontro tra due diversi provvedimenti, uno emesso dalla Quarta sezione penale, l'altro dalla Sesta, che davano pareri essenzialmente opposti sul commercio della cannabis. In sostanza, già da oggi, è vietata la vendita di oli, resina, inflorescenze e foglie di marijuana sativa, perché la norma sulla coltivazione non li prevede tra i derivati commercializzabili. Chi li vende quindi lo fa illegalmente, a meno che questi prodotti siano in concreto “privi di efficacia drogante”. Per capire bene quali prodotti sono a rischio e quali no si sono attesele motivazioni della sentenza, pubblicate il 10 luglio.
Secondo le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione, “se c’è effetto drogante, è vietata la vendita anche dei derivati della cannabis”. Con questa pronuncia sono stati fissati i limiti alla legge: secondo i giudici quello che serve verificare non è la percentuale di principio attivo, ma l’idoneità in concreto a produrre un effetto drogante.
Secondo la Cassazione dunque “non vale la legge sulla coltivazione per la commercializzazione di prodotti a base di cannabis sativa, in particolare foglie, infiorescenze, olio, resina, ma vige il testo delle droghe (Dpr 309/90)”, di conseguenza la vendita di derivati della cannabis sativa è illegale. La sentenza afferma che è illecita la cessione, la messa in vendita, la commercializzazione al pubblico a qualsiasi titolo di foglie, infiorescenze, olio e resina, ovvero di tutti i derivati dalla coltivazione della cosiddetta cannabis light.
Al contrario, sempre secondo i giudici, “la coltivazione della cannabis è consentita senza necessità di autorizzazione ma possono essere ottenuti esclusivamente prodotti tassativamente elencanti dalla legge 242 del 2016: possono ricavarsi alimenti, fibre e carburanti ma non hashish e marijuana“.
La Cassazione ha specificato poi che non sarà possibile invocare la scriminante del livello di Thc al di sotto lo 0,6%, prevista dalla legge 242 del 2016: questa vale soltanto per il coltivatore, al fine di salvaguardare i casi in cui la maturazione del prodotto faccia innalzare i livelli di principio attivo.